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Monte Battaglia è un'altura posta nel territorio del comune di Casola Valsenio (Ravenna), nell'Appennino tosco-romagnolo. Il toponimo, attestato nel medioevo come "Monte de Batalla" o "Montis Battagliae", ha origini incerte: secondo alcuni studiosi[1] si riferirebbe ad una grande battaglia che vi sarebbe stata combattuta tra Goti e Bizantini nel VI secolo, mentre secondo altri la sua origine risalirebbe all'epoca della dominazione longobarda (VII-VIII secolo) e il termine "battaglia" costituirebbe un'alterazione del longobardo "pataia", cioè "straccio" o, meglio, straccio o pezzo di stoffa che sventola[2].

Monte Battaglia
La rocca di Monte Battaglia e il monumento alla pace tra i popoli
Stato Italia
Regione Emilia-Romagna
Provincia Ravenna
Altezza715 m s.l.m.
Prominenza116 m
CatenaAppennino tosco-romagnolo (negli Appennini)
Coordinate44°13′05.41″N 11°34′47.45″E
Mappa di localizzazione
Monte Battaglia

Storia


All'epoca longobarda risale la torre eretta sull'altura (715 m s.l.m.), che fa parte della linea difensiva lungo il crinale tra il Senio e il Santerno, ai confini tra i territori occupati da questo popolo e quelli ancora in possesso dell'esarcato bizantino. La posizione del monte Battaglia ha in seguito continuato a rappresentare il punto focale delle sistemazioni militari poste a controllo e difesa delle valli dei due fiumi e della pianura tra Imola e Faenza.

Il "castrum de Monte de Battalla" è attestato per la prima volta in un documento del 1154, appartenendo ad Imola. Nel 1390 il senato di Bologna, a cui era pervenuto in possesso, decretò la distruzione della rocca[3]: l'incarico venne affidato a Ugolino di Boccadiferro con 500 guastatori.

Nel 1392 era in possesso degli Alidosi, che risistemarono la rocca, per passare quindi a Guidantonio Manfredi di Faenza. Il figlio di questi, Taddeo, signore di Imola, la rafforzò contro i tentativi di conquista dello zio Astorgio, il quale tuttavia nel 1462 se ne impadronì con uno stratagemma, per essere quindi costretto a restituirla.

La rocca passò in seguito a Girolamo Riario e, da questi, a Caterina Sforza, signora di Imola. Nel 1494 venne fatto edificare un bastione addossato al lato nord della torre e tuttora conservato, opera di Bruchello, maestro da muro. Nel 1502 la rocca fu espugnata da Cesare Borgia, ma due anni dopo era già sotto il dominio di Venezia e nel 1505 rientrò in possesso della Santa Sede in nome della quale la città di Imola vi teneva un "castellano". Nell'ottobre del 1506 vi passò papa Giulio II, diretto a Imola.

Nel corso del XVI secolo le opere fortificate furono superate dall'evoluzione della tecnica militare e anche Monte Battaglia perse importanza e prestigio, tanto che nel 1601 la città di Imola non trovò nessuno disposto ad assumere la carica di castellano. Vi venne ospitato per breve tempo un eremitaggio francescano, e nel 1640 Imola impose a Casola Valsenio, nel cui territorio ricadeva la rocca, di tenervi una guardia armata. Gli abitanti di Casola, tuttavia ottennero invece il permesso di demolire le fortificazioni e l'edificio cadde in abbandono. Un bando del 1757 vietava di "portar via pietre, frammenti, ed altro della detta Rocca, o sia Torre".

Dopo l'unità d'Italia, la rocca divenne rifugio di briganti, in genere ex-contrabbandieri, che avevano operato tra lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana. Alla fine del secolo venne occupata da una famiglia di mezzadri, che utilizzò alcuni vani situati tra la torre e le mura sul lato sud-orientale. A questa succedette un'altra famiglia contadina, che l'abbandonò definitivamente nel 1942.


I combattimenti del 1944


Il 24 settembre 1944, un battaglione partigiano della 36ª Brigata Garibaldi, forte di 250 uomini e diviso in sei compagnie, che operava negli Appennini imolese e faentino, iniziava un movimento d'infiltrazione che lo portò ad occupare Monte Battaglia la mattina del 27[4]. Nella stessa mattina un gruppo di partigiani impegnò le unità tedesche che difendevano la cima del monte Carnevale. Dall'altro versante del monte, all'insaputa dei partigiani, stavano operando i soldati del 350º reggimento della 88ª divisione fanteria statunitense (Blue Devils), impegnata nello sfondamento della Linea Gotica, seguendo da sud verso nord lo spartiacque tra il Senio e il Santerno[4]. Dopo l'incontro, nel pomeriggio del 27 gli statunitensi vennero guidati sul monte Battaglia. Il Monte aveva già ospitato nell'inverno 1943 un nucleo di partigiani e renitenti alla leva, ma non era stato giudicato motivo di preoccupazione dai fascisti[4]. Questa volta invece, vista anche la vicinanza alla linea del fronte, giunti sul monte, i partigiani dovettero sostenere sotto la pioggia un attacco del 290º Reggimento Granatieri tedeschi, con elementi della 44ª e della 715ª divisione, che furono respinti anche col concorso di tre compagnie dei Blue Devils[4].

Veduta aerea della rocca di Monte Battaglia.
Veduta aerea della rocca di Monte Battaglia.

I combattimenti continuarono per altri cinque giorni, ma i tedeschi, nonostante i rinforzi richiamati dal fronte adriatico e l'aiuto ottenuto anche da forze della Repubblica di Salò furono di nuovo respinti con ingenti perdite. I combattimenti sostenuti dalla brigata partigiana a fianco dell'esercito statunitense furono un episodio di alto valore strategico e militare, nell'ambito della liberazione dell'Italia dai nazi-fascisti. Il 350º reggimento della 88ª divisione prese il nome di "monte Battaglia".

Il 3 ottobre, l'esercito statunitense lasciò il posto alla 1ª brigata delle Guardie Gallesi che, fino all'11 ottobre, dovette affrontare gli ultimi assalti tedeschi. Gli scontri furono particolarmente cruenti[5], ma il sacrificio di vite umane, oltre 2.000 caduti, non portò effetti immediati: malgrado la conquista di monte Battaglia aprisse la strada per la Pianura Padana, l'avanzata degli Alleati venne fermata, per motivi di strategia militare e politica, fino alla primavera dell'anno successivo.

In seguito ai combattimenti e all'intenso uso delle artiglierie, i resti della rocca di monte Battaglia andarono distrutti: restò solo un troncone della torre e uno sperone della cinta muraria, crollato poi nell'immediato dopoguerra.

L'offensiva finale degli Alleati fu sferrata nell'aprile 1945. La valle del Senio fu liberata dal Gruppo di Combattimento "Friuli", inquadrato nel X Corpo d'Armata britannico. Per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana, Casola Valsenio fu insignita della Croce di Guerra al Valor Militare.


Restauro


Nel 1973 una giornata di studi su monte Battaglia, organizzata dalla Pro Loco di Casola Valsenio, richiamò l'attenzione sulle rovine della torre, sottolineandone il carattere di maschio di una rocca, e non di torre isolata. Nel 1982 il comune di Casola Valsenio, a cui venne ceduta l'area, avviò il recupero dell'area con una campagna di scavi archeologici che riportò alla luce materiali del XV e XVI secolo: tra questi piatti e brocche di maiolica graffita, pentole invetriate, punte di lancia e di balestra e diverse monete false, tanto da ipotizzare la presenza di una zecca clandestina tra il 1510 e il 1530, periodo di temporaneo abbandono. Tra il 1985 e il 1987 furono condotti i lavori di restauro[6]. Furono ricostruiti i solai in legno all'interno della torre e ricucite le parti murarie malmesse; venne inoltre consolidato il recinto murario. Nel 1988, in ricordo della battaglia della seconda guerra mondiale, venne anche inaugurato il "Monumento alla Resistenza, alla Liberazione e alla pace tra i popoli", un'opera in bronzo dello scultore Aldo Rontini, raffigurante l'episodio biblico di Davide e Golia, che simboleggia la lotta di liberazione e la successiva pacificazione. Ulteriori interventi di restauro della rocca sono stati realizzati tra il 2007 e il 2008. Il complesso architettonico monumentale è visitabile tutto l'anno.

Dalla cima di monte Battaglia durante le giornate limpide si può scrutare tutta la pianura romagnola fino al mare Adriatico. Verso le montagne si potrà notare in lontananza, San Marino a est, il monte Cimone a ovest, i Colli Euganei e le Alpi orientali a nord-est. Il 21 luglio 2020 alle ore 5:47 (CEST) l'astrofilo forlivese Claudio Lelli fotografò la levata del Sole dietro la sagoma del Monte Vojak (Istria), distante 240 km da monte Battaglia.


Fatti salienti



Altri media


Nel settembre 2003 è stato realizzato un videogioco dal titolo Medal of Honor: Breakthrough, prodotto da EA Games; questo videogioco è l'unico della catena Medal of Honor ad essere ambientato in Italia, in particolare a Cassino e monte Battaglia.[7]


Note


  1. Tra questi Gina Fasoli dell'Università degli studi di Bologna, che espose questa tesi nel corso della Giornata di studi su monte Battaglia svoltasi a Casola Valsenio il 21 luglio 1973. Prima di lei Romeo Galli in un testo pubblicato sul Corriere Padano del 15 gennaio 1943.
  2. Questa tesi è sostenuta da Antonio Polloni in Toponomastica Romagnola. Una diretta derivazione di questo termine, patajôl o patajôla, era ancora in uso nel dialetto romagnolo fino a pochi decenni fa per indicare il lembo di camicia che, sventolando, fuoriesce dai pantaloni.
  3. La ragione è indicata nel fatto che "costa al comun de Bologna più denari che non pesava"[senza fonte].
  4. Monte Battaglia, su montebattaglia.it. URL consultato l'11 novembre 2011.
  5. Il corrispondente di guerra del Sunday Graphic il 19 novembre 1944 definì monte Battaglia "una piccola Cassino".
  6. I lavori furono diretti dall'architetto Claudio Piersanti, autore con la collega Rita Rava del progetto di recupero e di sistemazione urbanistica.
  7. Monte Battaglia diventa un videogioco - Lo Spekkietto.it Archiviato il 10 settembre 2009 in Internet Archive.

Collegamenti esterni


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