La gola del Bottaccione, che si apre lungo la strada tra Gubbio e Scheggia, è una profonda valle fluviale tra il monte Ingino e il monte Foce (o Calvo), che deve la sua origine all'azione erosiva esercitata dal torrente Camignano. Luogo naturale di incomparabile bellezza e sito scientifico di rilevanza mondiale, la gola del Bottaccione è anche ricca di importanti testimonianze storico-artistiche.
Gola del Bottaccione | |
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Gola del Bottaccione, a destra un tratto dell'acquedotto medievale | |
Stato | Italia |
Regione | Umbria |
Provincia | Perugia |
Comune | Gubbio |
Cartografia | |
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La gola, come gran parte dei siti geologici dell'Italia centrale, costituisce una sequenza stratigrafica completa, originale e ordinata, appartenente alla porzione medio alta della successione umbro-marchigiana, che va dalla fine del Giurassico (145 milioni di anni fa) a gran parte del Terziario (13 milioni di anni fa).
Le rocce calcaree stratificate sulle pareti della gola derivano dalla sedimentazione marina della Tetide, un esteso oceano che, a partire da 130 milioni di anni fa, si ritirò lasciando bacini marini come il Mediterraneo, il mar Nero, il mar Caspio, oltre alle catene montuose dal Mediterraneo all'Indocina (Alpi, Appennini, Carpazi, Himalaya).
L'alta percentuale di resti fossili e microfossili planctonici derivati dagli esseri viventi in quell'oceano ha costituito la cosiddetta scaglia, che è chiamata bianca, rossa, variegata e cinerea a seconda del colore e dell'insieme degli strati fossiliferi più ricchi.
L'osservazione scientifica degli ultimi due secoli, nell'esaminare attraverso le diverse forme fossili le condizioni ambientali che hanno dato origine alle rocce depositate, ha permesso di determinare una suddivisione stratigrafica basata sul succedersi delle varie forme organiche presenti nelle rocce, identificando nell'intervallo di tempo che va da 120 milioni di anni fa fino ad oggi, un gruppo di microfossili chiamati foraminiferi che ha permesso più di altri resti fossili di individuare periodi ben distinti della storia della Terra.[1]
Per questi motivi la gola del Bottaccione è un vero e proprio "archivio della Terra", una fotografia al dettaglio della storia della Terra, attraverso quelle modificazioni che hanno determinato, anche con drammatici sconvolgimenti, la faccia attuale del nostro pianeta. E nel Bottaccione possiamo osservare, a cielo aperto, due importanti eventi anossici.
Lungo la strada statale che percorre la gola sono quindi segnalati due siti di interesse geologico primario:
Bottaccione significa "grande bottaccio", ossia una diga, un grande bacino artificiale di raccolta delle acque ottenuto dallo sbarramento di un fiume, di un torrente. La singolarità dell'invaso di Gubbio, che raccoglie le acque del torrente Camignano, è che non si tratta di una struttura recente, ma di una diga contemporanea all'antico acquedotto, che pure corre lungo la gola, due opere di grande ingegneria del Medioevo eugubino, uno dei periodi di massimo splendore della città umbra.[4]
L’antico acquedotto di Gubbio o "Condotto Maggiore", ardita opera architettonica costruita dall'antico Comune tra il Duecento e il Trecento e attribuita nella parte costruttiva trecentesca al maestro eugubino Matteo Gattaponi, parte da una galleria di captazione dell’acqua sorgiva, ad oltre 600 m di altezza, in prossimità della diga del “Bottaccione”, a est del monte Foce, nei pressi dell'alveo del torrente Camignano, e si inoltra nella gola.
L'imponente opera muraria si snoda in via quasi esclusiva sulle pendici ovest del monte Ingino e, dopo un percorso di circa 1,6 km, giunge nella parte alta della città a ridosso del primo insediamento medievale dove oggi si trova l’area monumentale che comprende il palazzo Ducale, la Cattedrale, il palazzo dei Consoli oltre alla cinta muraria difensiva facente perno sul “Cassero”, entro il quale il condotto termina come struttura muraria, a 575 m, ove è sito il serbatoio di distribuzione con un dislivello di circa 25 m. L’acquedotto è un'opera architettonica di utilizzo civile, che portava e, dopo 800 anni, ancora porta acqua, è stato oggetto nel corso dei secoli di numerose ristrutturazioni (1377, 1435, 1492, 1733, 1816). Nel 1914, insieme alla diga del Bottaccione, è riconosciuto monumento nazionale.
La più recente ristrutturazione e messa in sicurezza del camminamento, terminata nel 2017, ha valorizzato e reso maggiormente fruibile l'itinerario monumentale e naturalistico costituito dal complesso architettonico, un percorso ad anello che parte dalla porta di S. Croce nel centro storico di Gubbio, risale la gola del Bottaccione fino ad arrivare all’inizio del condotto e percorre l'acquedotto sino al Cassero, in uno scenario ambientale e storico-architettonico particolarmente affascinante.
Il monastero sorge sul versante est del monte Foce, di fronte al monte Ingino tra balze rocciose, su pareti quasi perpendicolari alla strada che percorre la gola del Bottaccione. Il monastero è vicino ad una “cittadella preistorica “, sito archeologico rilevato per la prima volta dal canonico Vittorio Pagliari (1846-1923), che consiste in terrazzamenti addossati alle pareti rocciose, ove si ergono imponenti mura ciclopiche, aventi una lunghezza di 50 m e un’altezza di 5 m, edificate con pietre giganti di 3 x 2 m, complesso che testimonia un insediamento del Paleolitico.[5] L’eremo, in progressivo abbandono nel Novecento, è stato oggetto di un'attenta opera di restauro conclusa nel 2000.
Le prime notizie storiche sono del 1331, anno nel quale il vescovo eugubino Pietro Gabrielli lo eresse in priorato, mentre nel 1342 lo stesso vescovo diede agli eremiti che lo abitavano la regola di S. Agostino, elevando il priorato in monastero.
Nel 1419 papa Martino V unificava il monastero di S. Ambrogio a quello di S. Salvatore di Bologna e quindi vi si trasferirono i canonici regolari, ai quali poi si unirono nel 1430 quelli di S. Maria in Reno, sempre di Bologna.
La presenza del beato Stefano Agazzari (1339?-1422), uno dei discepoli di Santa Caterina da Siena, caratterizza uno dei periodi di maggior fioritura del monastero. Nel 1445 papa Callisto III unisce infine la canonica di S. Secondo a S. Ambrogio.
La notorietà del cenobio, delle sue regole severe, dell'inaccessibilità dell'ubicazione, luogo di solitudine e silenzio, portarono anche il beato Arcangelo Canetoli (1460?-1513) all’eremo di S. Ambrogio e quindi una grande moltitudine di fedeli, attratti dalla sua fama di santità. Il suo corpo incorrotto riposa nella chiesa del monastero, insieme a quello del beato Francesco Nanni e nel 1760 le spoglie del beato vennero collocate sotto il nuovo altare maggiore, realizzato in pregiati marmi policromi, dove tuttora riposa.
Nella chiesa riposano anche i resti mortali del vescovo Agostino Steuco, filosofo eugubino del Cinquecento.[6]
Il monastero è articolato su diversi piani: i sotterranei caratterizzati da grotte; il piano terra, riservato alla vita diurna della comunità monastica, con la chiesa, l’ingresso del monastero, la cucina, il refettorio; il primo piano, dove si trovano la cella del beato Arcangelo, il dormitorio e altri locali; il secondo piano costituito da soffitti.
L'architettura del complesso risulta caratterizzata dal succedersi di vari interventi: sulla base trecentesca - con elementi architettonici di particolare significato come le finestre a tutto sesto con blocco monolito, le finestrelle trilobate e le finestre a sesto acuto - si inseriscono modifiche rinascimentali e barocche.
Interessante l’impianto per la raccolta di acqua piovana, che, con un sistema di filtri, veniva resa potabile.
La chiesa, trasformata dalla originale pianta rettangolare ad una navata in una pianta a T, conteneva due tele: Il Beato Arcangelo in preghiera, opera di Annibale Beni (1764-1845) sull’altare maggiore, e la pregevole pala raffigurante Il Battesimo di S. Agostino che era posta sull’altare laterale a sinistra, datata e firmata nel 1550 da Benedetto Nucci (1515-post 1596), quindi trafugata e poi ritrovata (ora in S. Secondo), una Crocifissione, affresco del sec. XIV, in sacrestia, infine, nella grotta-cappella del beato Arcangelo, un piccolo affresco raffigurante una Madonna con il Bambino di Ottaviano Nelli, oggi anch'esso in S. Secondo.[7]
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